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This will destroy you | 4

Ho lasciato, ho dimenticato. Ho dimenticato l’inverno sulle mie montagne. L’ho abbandonato lì forse e non me ne sono curato. E sai perché? Perché sono preoccupato per cose che non so se desidero!
Un moto continuo delle mascelle indica una contrazione dei denti. Nervosa. Una tempia pulsa appena sotto il sottilissimo velo di capelli che la copre in quel punto. Teso. Tirato.
Continua per la tua strada.
Il prezzo umano è alto. Eccessivo a volte. In parete si è infinitamente soli e responsabili. L’ho riletto qualche giorno fa. È bellissimo pensare un “infinitamente responsabili”. Ma sembra enorme questo infinito adesso. Non è calcolabile. E se fosse solo stupido? Se si uscisse tutt’un tratto da un campo di forze, trovandosi proprio soli, con attorno spazi smisurati, buio e assenza di gravità?
Sei un costruttore di razzi, non dimenticarlo. Ti sei addestrato e allenato fino allo spasmo. Lo sai fare troppo bene. Non resti sotto ad un tetto. Non puoi rimanere a lungo in un camino.
Ma io non posso, non devo rimanere vincolato a due montagne. A vita. A due vaj, a due lastre, a due colori. Non voglio restare in bilico, sull’orlo di come sarebbe potuta andare.
È qualcosa che non mi resiste.
Lo sguardo cerca qualcosa, in alto. I pensieri si sfibrano, fino ad estenuarsi.
L’unica cosa che lascerò veramente al mondo saranno le montagne. Le lascerò qui, come erano prima che arrivassi.
L’idea di lasciare qualcosa mi spaventa, pur nella sua purezza. Ha qualcosa di intrinsecamente arrogante. Le montagne. Cosa vuoi che pensino le tanto blaterate montagne di tutto questo? Di tanto discutere, ricamare, ragionare? Certamente ci sopravviveranno. Ci hanno già sorpassato! Ma a loro non interessa minimamente il nostro vocio, la nostra così scontata scoperta.
Un ultimo sguardo almeno. Guarda la Guglia Gei, la Guglia Sibele, il Camino dell’Inferno, l’Artiglio del Diavolo, il Dito di Dio. Le ultime piogge hanno smosso una gran quantità di materiale roccioso, di ghiaia. Le guglie lasciano scoperto uno zoccolo giallo alla loro base; il terreno attorno è calato di un paio di metri. È come se una gengiva avesse smesso all’improvviso di stringersi attorno ad un dente e mostrasse la sua ferita.
Le montagne sono fonde. Non sono alte. Il solo pensiero che le montagne abbiano un affondo, una profondità senza limiti, è qualcosa di più terribile del loro erigersi in altezza. È primitivo.
Hai trovato l’abisso. Vedi?
È l’abisso. È sordo e indiscutibile.
Non c’è altro da raccontare.
È ora di andare adesso.
Non voltarti indietro.

 

Daniela Zangrando, This will destroy you | 4. Alberto Tadiello, in Alp Magazine, anno 2012, n.283, p. 56.